Durante il 34° FESCAAAL, la Giuria Universitaria Under 30, composta da 13 studentesse e studenti di diversi atenei, ha avuto l’opportunità di seguire un corso dedicato alla critica cinematografica tenuto da Longtake, assistere in sala alla proiezione di tutti e dieci i film del Concorso Lungometraggi assegnare il Premio della Giuria Universitaria.
Il percorso ha fornito loro gli strumenti per approfondire il linguaggio del cinema dei tre continenti e sviluppare uno sguardo più consapevole e critico, che ciascuno ha messo in pratica scrivendo una recensione su uno dei film visionati, offrendo una riflessione personale sulle opere che hanno segnato questa edizione del festival.
Le recensioni di “In the Summers”, menzione speciale del Concorso Lungometraggi
Due membri della Giuria Universitaria hanno scelto di recensire In the Summers di Alessandra Lacorazza, regista americana di origini colombiane, a cui la Giuria del Concorso Lungometraggi ‘Finestre sul Mondo’ ha assegnato una Menzione Speciale.

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Margherita Pivari (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)
In the Summers, un racconto personale di crescita in cui ci possiamo ritrovare tutti
Il film di Alessandra Lacorazza narra in quattro atti separati le esperienze che vivono due sorelle, Violeta ed Eva, quando vanno periodicamente a trascorrere le estati dal padre Vicente che, dopo la separazione dalla madre, si è trasferito dagli Stati Uniti alla sua cittadina di origine, Las Cruces (New Mexico). Vicente è un uomo sveglio, dotato di elevatissime capacità in matematica e in fisica, e che cerca di insegnare alle sue figlie a guardare il mondo con i suoi stessi occhi curiosi. Purtroppo, però, Vicente fatica a mantenere un lavoro stabile, fallisce nel far funzionare per due volte il proprio matrimonio, e tende a fare abuso di alcool e di sostanze stupefacenti. Per questo, perde il controllo di sé, e perde gradualmente l’ammirazione delle proprie figlie. Il suo rapporto con loro si lacera, la lontananza sia fisica che emotiva, che cresce lentamente, non riesce a colmare del tutto quel vuoto che si crea tra loro a causa delle diverse difficoltà che affrontano.
Lacorazza accompagna lo spettatore attraverso questa storia di crescita personale in modo intimo e sincero, facendo in modo che sia l’evoluzione del rapporto tra i diversi personaggi a raccontare per loro. Infatti, la regista sceglie di evitare di rappresentare dialoghi di confronto, soprattutto tra le due sorelle, ma, nonostante questo, è evidente che Violeta ed Eva si ascoltino, si comprendano, e, nonostante le forti differenze tra di loro, cerchino sempre di proteggersi a vicenda.
La forza del loro legame traspare soprattutto nel quarto atto, dove, ormai adulte, le due tornano un’ultima volta a Las Cruces insieme e trovano il loro modo di adattarsi al suo ambiente con l’indipendenza che sono riuscite lentamente a conquistarsi. In questa istanza, Vicente tenta di trovare con loro un momento di confronto, di scusarsi, ma sono le figlie stesse a bloccare questo momento sul nascere. Ormai è troppo tardi, sono passati troppi anni e le parole non sono sufficienti per ricostruire quella ferita emotiva che si è creata, o comunque risultano a questo punto superflue: le figlie hanno raggiunto la maturità necessaria per capire chi sia Vicente, quali siano le sfaccettature della sua persona. E, nonostante la frattura che li ha allontanati, simboleggiata dalla profonda cicatrice sulla gamba di Violeta, segno di un incidente d’auto provocato dal padre, non possa essere più riparata, Violeta ed Eva non smetteranno mai di volergli bene. La profondità di questo sentimento è la scintilla che permette alla regista di scrivere la storia in modo che Vicente, il suo padre romanzato, possa avere una seconda occasione di riscatto con Natalia, la figlia avuta dal secondo matrimonio.
È grazie alle interpretazioni degli attori, capaci di abitare pienamente i loro personaggi, che questa storia riesce a toccare nel profondo e a rendere ogni figura viva e autentica. Il rapper Residente qui fa il suo debutto attoriale nell’impegnativo ruolo di Vicente, riuscendo a catturare in modo sopraffino come un uomo inizialmente ricco di vitalità e iniziativa per colpa delle ingiustizie del mondo possa perdere la fiducia in se stesso e gradualmente cambiare nell’aspetto, negli atteggiamenti e nelle convinzioni. Le figlie sono interpretate entrambe da tre attrici diverse, che riescono a passarsi il testimone con naturalezza, senza destabilizzare lo spettatore e mantenendo quelle caratteristiche che distinguono tra di loro le due sorelle. Sasha Calle nei panni di Eva risulta una nuova scoperta attoriale particolarmente memorabile per la sua espressività e per la sua capacità di occupare la scena, mentre interpreta una Eva che non ha più speranze di poter impressionare il padre e sfoga questo suo sconforto nel fumo e nell’alcool. Lío Mehiel, attorə di genere non binario, interpreta invece una Violeta apparentemente responsabile e di successo negli studi, ma che vive in età adulta ancora in modo impacciato la propria omosessualità. Violeta nell’arco del film non risulta mai nella scoperta della sua sessualità un personaggio stereotipato ed è molto piacevole vedere in questo film unesempio di duro lavoro da parte sia della regia sia della recitazione per fare in modo che il tema sia trattato nel modo più autentico e onesto, soprattutto visto che le insicurezze per quanto riguarda il tema della sessualità fanno parte della storia della stessa Lacorazza, che si definisce queer.
Tutti questi elementi rendono il film profondo e ricco di diverse sfaccettature che possono essere spunto di riflessione, nonostante possa sembrare all’apparenza semplice per lo stile di immediatezza adottato dalla narrazione. I luoghi di Las Cruces diventano nostalgici anche per lo spettatore che non ci è mai stato, mentre nei diversi atti vede l’ambiente rimanere sempre lo stesso ma allo stesso tempo attraversare fondamentali cambiamenti. Questo film mi ha toccato il cuore ed è stato per me una forte fonte di nostalgia per quelle estati della mia infanzia passate sempre nello stesso luogo, che mi ha vista crescere e cambiare nel tempo.
Sabrina Sciruicchio (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)
In the Summers – Un viaggio intimo tra le stagioni dell’amore paterno
In the Summers, diretto da Alessandra Lacorazza, è un film che si insinua nel cuore dello spettatore con la delicatezza di un ricordo d’infanzia e la forza emotiva di una confessione a lungo rimandata. Vincitore del prestigioso Grand Jury Prize al Sundance Film Festival 2024, questo esordio alla regia è molto più di un racconto autobiografico: è un’esplorazione profonda del legame tra due figlie e il loro padre, intrisa di dolore, affetto e speranza. Ambientato tra le luci abbaglianti e la polvere del deserto del New Mexico, il film racconta quattro estati trascorse da Eva e Violeta con il loro padre Vicente, un uomo tanto affettuoso quanto inaffidabile, segnato dalle sue fragilità e da un passato difficile.
Il tempo, come suggerisce il titolo, è scandito da stagioni, non da anni. Ogni estate rappresenta una fase diversa della vita delle protagoniste, una tappa emotiva del loro cammino verso la maturità e la comprensione. Lacorazza frammenta volutamente la narrazione in capitoli, ciascuno ambientato in una diversa estate della vita familiare. Questo approccio episodico richiama il modo in cui la memoria lavora: non una linea continua, ma un collage di momenti, dettagli, emozioni che si accavallano e si contraddicono.
Vicente, interpretato da René Pérez Joglar (il musicista noto come Residente), è il cuore pulsante del film. Il suo ritratto è lontano da qualsiasi idealizzazione: è un padre amorevole, ma anche un uomo fragile, instabile, a volte pericoloso. Ha un passato segnato dall’abuso di sostanze, relazioni fallite e una costante lotta con se stesso. Nonostante tutto, cerca di offrire alle sue figlie dei momenti di normalità, di leggerezza, di gioco. La sua è una presenza intermittente ma intensa, che lascia un’impronta profonda sulle vite di Eva e Violeta. Pérez Joglar dà vita a un personaggio dolorosamente umano, senza cadere mai nel patetico: la sua recitazione è fatta di sguardi persi nel vuoto, abbracci trattenuti, silenzi carichi di significato.
Le figlie, interpretate da attrici diverse nelle varie fasi della loro vita, sono tratteggiate con grande sensibilità. Da bambine, le vediamo entusiaste di passare l’estate col padre, immerse in un mondo fatto di piccoli rituali – una gita al parco acquatico, una colazione insieme, una notte sotto le stelle. Col passare del tempo, però, emergono crepe. Il padre diventa imprevedibile, a volte distante. Le ragazze imparano a decifrare i segnali di una crisi in arrivo, a leggere la stanchezza nei suoi occhi, a capire quando il gioco si è fatto troppo pericoloso. Eppure, non smettono mai del tutto di amarlo. Questo dualismo – amore e paura, vicinanza e distanza – è reso con una naturalezza sorprendente, senza alcuna forzatura narrativa.
L’estetica del film è un altro dei suoi punti di forza. La fotografia, curata da Alejandro Mejía, cattura magnificamente l’atmosfera del New Mexico: cieli infiniti, luce arida, spazi aperti e silenziosi che sembrano riflettere l’interiorità dei personaggi. Anche l’uso dei colori segue un arco narrativo: tonalità calde, solari nelle prime estati; via via più spente, quasi cupe, negli anni della disillusione. Ogni elemento visivo è carico di significato. Un esempio emblematico è la piscina di casa: all’inizio simbolo di gioco e freschezza, diventa negli anni una vasca vuota, sporca, abbandonata, come il rapporto tra padre e figlie. L’acqua che non c’è più è la metafora perfetta dell’assenza. Il suono gioca un ruolo altrettanto importante. La colonna sonora è minimale, quasi assente per lunghi tratti, lasciando spazio ai suoni ambientali – il ronzio delle cicale, il vento tra gli alberi, i passi sulla ghiaia. Quando la musica entra in scena, lo fa con delicatezza, accompagnando i momenti più intensi con melodie lievi, mai invadenti. Questa scelta conferisce al film un senso di autenticità, di realtà non manipolata, che coinvolge lo spettatore in modo diretto e profondo.
Uno degli aspetti più interessanti di In the Summers è la sua capacità di affrontare il tema della Latinidad in modo sottile ma presente. La cultura latina non è mai un elemento esotico o folcloristico, ma parte integrante dell’identità dei personaggi. Si respira nei dialoghi, nelle abitudini familiari, nei modi di amare e di soffrire. In un panorama cinematografico che spesso riduce le storie latine a stereotipi, il film di Lacorazza si distingue per la sua onestà e per la sua capacità di rappresentare un’identità complessa, sfaccettata, autentica.
Ciò che più mi ha colpito, personalmente, è come la regista non abbia paura di mostrare l’ambiguità dell’amore familiare. Non c’è una redenzione piena, né una condanna definitiva. Vicente non è un cattivo padre, ma non è neanche un eroe. È un uomo che ha provato, che ha fallito, ma che ha anche lasciato un segno indelebile nella vita delle sue figlie. Il film si chiude con una nota di malinconia, ma anche di dolcezza. Non tutto si risolve, ma qualcosa si accetta. E in questo accettare, c’è forse la forma più alta di perdono.
In the Summers è un’opera di rara bellezza emotiva. Non cerca il colpo di scena, non rincorre la commozione facile. È un film che si prende il suo tempo, come una vecchia foto che guardi per minuti cercando di ricordare cosa provavi in quel momento. È cinema personale, ma universale. Parla di famiglia, di crescita, di ferite che non si rimarginano mai del tutto, ma che impariamo a portare con dignità.
Con questo esordio, Alessandra Lacorazza si conferma una voce nuova e potente nel cinema indipendente americano. La sua scrittura è raffinata, la sua regia consapevole, la sua visione profonda. In the Summers non è solo un film, ma un’esperienza. Un’estate lunga una vita.
Voto finale: 9/10

Le attività della Giuria Universitaria si sono svolte nella cornice del FESCAAAL Diffuso, nell’ambito del progetto Fuori per Festival – Diversità e inclusione in prima fila nella città del cinema di prossimità co-finanziato da Fondazione Cariplo.
GALLERY: La regista Alessandra Lacorazza al FESCAAAL 2025





